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"VENGHINO SIGNORI, VENGHINO". Articolo di Paolo Pelizza

francescocaprini


Un amico (grande musicista, di cui non farò il nome neanche sotto tortura) su Sanremo ha sentenziato un mesetto fa: “ … il problema di Sanremo è Sanremo. Ci va gente che, nel bene e nel male, non ci dovrebbe andare e gente che non dovrebbe andarci più.” Mi permetto di dissentire con il dovuto rispetto. Sanremo è l’evento televisivo dell’anno e la kermesse canora per eccellenza. Tutto il popolo italico (compreso quelli che dicono che non lo guardano) si stringe tra PC, smartphone e TV per seguire la manifestazione cult del nazional popolare e, comunque, per tutto l’anno non potrà evitare di ascoltare o subire i pezzi che sono stati in gara. Ora, qualche rilievo da fare lo abbiamo ma di fronte ai fantastiliardi degli sponsor che si sommano al canone RAI, prelevato forzosamente da chiunque abbia un contatore della luce, sono poca cosa. Intanto cominciamo dalla conduzione/direzione artistica. Carlo Conti meriterebbe la Coppa del Mondo di specialità per lo slalom. Nemmeno il miglior Alberto Tomba sarebbe riuscito a dribblare tutti quei paletti insidiosi di argomenti importantissimi e vitali. Nessuno sarebbe mai riuscito, in un periodo storico come questo, a passare così inosservato … a non lasciare traccia come una piuma su uno specchio. Gli ascolti dimostrano che, a stare lontani da questioni che possano essere divisive e controverse, si vince sempre. Si vince quando si scelgono le canzoni e si vince la battaglia dell’Auditel. Il momento dei momenti quando due cantanti, una israeliana e l’altra palestinese (in realtà anche lei cittadina israeliana), cantano Imagine di Lennon viene archiviato come un appuntamento con il cluster pubblicitario e, forse, con meno grazia … pecunia non olet. Questa settantacinquesima edizione sarà ricordata per essere la più affettata, la più equilatera, quella più politicamente e correttamente piatta della storia. Non possiamo promuoverla per il coraggio, ovviamente. No woke, no queer, no war, no cease fire, e anche, no party. D’altro canto, grazie a tutte le divinità, le polemiche ci sono state per le collane, per tirarsi la casacca di quello o di quell’altro artista da gente che non ha un cazzo da fare, soprattutto politici di parti avverse e giornalisti. La cosa grave è che i primi non votavano per il vincitore, i secondi sì. Polemiche a latere ma pur sempre poco intelligenti (per venire incontro all’italiota). Perché discutere su una canzone che racconta un’esperienza di molti (parlo di quella di Cristicchi), decidendo che quella non è l’esperienza, è soltanto una parte di quella. E’ una cazzo di canzone, non un simposio sull’Alzheimer. Potete dire che sia paracula? Sì. Ma il resto è veramente di troppo. Parliamo di co-conduttori, allora. Se Gerry Scotti fosse un uomo RAI non ce ne sarebbe per nessuno. Piaccia o non piaccia, è il migliore nel suo lavoro anche se non è simpaticissimo. Nemmeno il primo della classe al liceo era simpatico e neppure Mike Buongiorno. Intanto, fatemi salvare Alessia Marcuzzi: mandare in vacca una roba così noiosa e inutile è un valore aggiunto, altro che massacrarla come è stato fatto da molti. Alla fine, durante quei momenti così stressanti (ci torneremo)è stata di grande supporto agli artisti che sembravano essere lì per un premio serio. Grande Alessia! Senza alcun pietismo ma pregno di straordinario rispetto per la traduzione simultanea fatta da lei stessa italiano-lodigiano-italiano: Bianca Balti. Bellissima e bravissima. L’unica capace di scendere una scala che anche Messner avrebbe fatto in corda doppia, con abiti che costringevano a camminare come pinguini … Altro che discussioni sulla parità dei diritti, sulla condizione femminile, sul sessismo! Rivendichiamo la possibilità di indossare ramponi, corde e imbraghi per scendere la scala maledetta dell’Ariston più insidiosa della Sud dell’Ama Dablam. Conti ha ringraziato lo scenografo varie volte … se fossi stata una cantante a Sanremo, io gli auguri di Natale a questo architetto non li manderei. Se fossi Francesca Michielin magari gli farei pure il malocchio. Surreale la performance di Katia Follesa con Simon Le Bon. Sincera Geppi Cucciari. Sciapo Cattellan, gli altri con pochi guizzi ma nel mood. A proposito degli ospiti, devo segnalare che è molto difficile (visto il livello medio odierno della manifestazione) non rendersi conto che gli imbolsiti Duran Duran sono di una categoria superiore.  Forse è meglio non invitare gente che fa sfigurare la maggior parte dei cantanti in gara. Una menzione di merito anche a Edoardo Bennato. Se il nostro Paese ha avuto un autentico rocker, quello è lui, non popstar imbellettate da riff di chitarra.  Sulla serata delle cover, due riflessioni. La prima su Lucio Corsi che canta Volare con Topo Gigio. Appena vengo a saperlo, penso a un suicidio professionale e artistico. Vero è che Modugno già aveva prestato la voce al nostro topo nazionale ma l’asticella del pezzo notissimo è alta e forse avere un partner reale, che possa stare sul palco, è sicuramente la scelta più giusta. Anche i visionari sbagliano, però. Lucio Corsi e Topo Gigio sono una coppia incredibile. Oltre ad aprirci un cassetto di tenerissimi e felici ricordi d’infanzia (i miei sono pochi di questo tipo, per questo molto preziosi), per i pochi minuti della canzone, ci insegna a volare, appunto. Chi è più reale tra il pupazzo e il cantautore è tuttora oggetto di discussioni. Ma cosa mi dite mai? L’anno scorso, Santi Franceschi e Skin avevano osato “performare” sul pezzo del compianto Leonard Cohen, Hallelujah. Quando si approccia a pezzi così importanti bisogna avere paura, molta paura. Eppure, ancora oggi a ricordare quella esecuzione ho la pelle d’oca. Pelle che mi si è accapponata quando ho sentito la cover di The Sound Of Silence eseguita da Clara e da Il Volo. Già l’arrangiamento è agghiacciante, poi in nessun mondo quel pezzo può essere cantato così. Una bestemmia in Chiesa.

Un momento a cui noi di Rock targato Italia ci aggreghiamo sinceramente è stato il ricordo di Paolo Benvegnù recentemente scomparso. Da noi un grande abbraccio ai suoi cari. Ci mancherà lui e il suo autentico talento.

Concludendo… Vince l’emozionato Olly (senza Benji) con un pezzo banalino sull’amore perduto. Fuori dalla Top 5 immeritatamente Giorgia che, nonostante il fatto che a noi risulti sembra sempre un po’ algida, può cantare anche l’etichetta del burro e Achille Lauro non un musicista ma un gran performer che il palco lo riempie eccome. Secondo arriva il folletto-menestrello, un po’ Renato Zero dei Settanta, un po’ glam e un po’ cantautore, Lucio Corsi con una bella canzone che parla di un tema importante con quella brillante ironia che è sintomo di intelligenza oltre che di onestà intellettuale. Chi dice che questa è la sagra di un nostalgico passato a cui non ci rassegniamo, si sbaglia. Questa è la nuova versione 2.0, noi dobbiamo tornare indietro se vogliamo salvarci. Il nuovo che avanza è come il resto della cena che finisce nel bidone, è fatto di storie inutili, ridicole, storie da selfie. Musica composta dall’AI, campionatori e PC non da un paio di autori, polistrumentisti capaci, per niente dei bellimbusti ma capaci di stimolare i nostri sonnolenti neuroni. Evviva Lucio Corsi! Non si cruccino gli altri, saranno presenti nelle palestre di aerobica, nelle piscine di aquagym e sulle spiagge della riviera adriatica dove attempate signore faranno il risveglio muscolare quest’estate e magari si beccano tre dischi di platino.

Speriamo che ai rapper/trapper presenti alla kermesse la lezione sia servita: non è posto per loro. Non si può sparare in cima sulle scale con l’Ak 47 d’oro, non si possono cantare testi sessisti, non si può inneggiare alla ricchezza economica come unico valore (di gioielli sì?)… Cosa rimane? Parlare dei propri personali problemi come se li avessi avuti solo tu e contassi solo tu nell’universo, cantare male una canzone d’amore romanesca o prestare la voce a un DJ? Quando poi si viene intervistati sulla propria produzione e si risponde: che dovremmo scrivere, filastrocche per bambini? Caro Tony Effe, la risposta è sì. Qualche decennio fa una band scrisse alcune canzoni su temi piccoli, fanciulleschi … Una parlava del cortile di un orfanotrofio dove i ragazzi del quartiere andavano a giocare a calcio e venivano osservati dai piccoli ospiti dietro le finestre della struttura, una su una fermata d’autobus dove si aspettava la ragazza che faceva battere il cuore o, un’altra ancora, che parlava del fatto che vivessimo tutti in uno strano sottomarino colorato. Caro Tony, si chiamavano The Beatles. Va bene, non sai chi sono.

di Paolo Pelizza, ovino dal manto scuro.

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