“Così il sistema dovrebbe cadere di schianto. E noi come acrobati, appesi sui fili, felici e salvi”, recita un verso di un brano del nuovo album de I Fasti. Utopia? Certo. Ma l’utopia è proprio una delle cose di cui c’è più bisogno, in questi anni di cieca rassegnazione allo status quo e alle verità ufficiali.
S’intitola “Oltre”, il nuovo disco de I Fasti, ed è un lavoro che fa ben pochi sconti. Otto brani fatti di elettronica minimale e una voce che, con uno stile molto più vicino alla parola detta che al cantato, scaglia come sassi taglienti pensieri che, fra lampi di utopia e frangenti di lucidissima disillusione, scavano fra le radici e le conseguenze dei mali del modello di sviluppo occidentale ai tempi delle crisi permanenti.
Racconta di depressione e difficoltà nel comunicare, “Non chiamarli mostri” di Mapuche, ma lo fa in modo inusuale, attraverso nove canzoni dall’approccio fortemente lo-fi, dalle strutture inconsuete e dalle atmosfere stranianti. Un album dalle tinte inevitabilmente cupe, ricco di distorsioni sottili e di momenti dilatati, che si muove in un clima dolente come un viaggio dantesco a bassa fedeltà fra le fragilità della mente umana.
Ha fatto dell’eleganza una sorta di marchio distintivo, Gianluca De Rubentis, e anche con il nuovo album intitolato “L’equazione del destino” conferma di sapersi muovere con grande signorilità nel terreno del pop d’autore più riflessivo attraverso dieci canzoni in cui melodie lineari e pulite sanno sposare con naturalezza un approccio narrativo introspettivo e atmosfere piacevolmente ombrose.
Sanno stridere in modo sottile, quasi sottovoce, le canzoni di “Dove vola la cicogna”, nuova prova solista del sempre attivissimo Pier Adduce. Nove brani in cui a una scrittura evocativa si affiancano atmosfere notturne, spesso venate di blues, e un approccio chitarristico particolare capace di unire l’intimità di una prova solista con il bisogno di abbandonarsi a distorsioni e sonorità dal sapore alternative-rock.
Sudore e sensibilità. Chitarre claustrofobiche e lampi poetici per nulla banali. Potenza sonora e vulnerabilità. Ci sono parecchi contrasti in “Dove si muore davvero” dei Quercia: un lavoro personale in cui un’idea cruda di emocore fatto di ritmiche massicce e chitarre sporche si lascia abbracciare da una scrittura riflessiva, a tratti anche intima, intrisa di senso di smarrimento e umana fragilità.
Festeggia vent’anni di attività, l’etichetta marchigiana Bloody Sound, e celebra la ricorrenza con una compilation intitolata “Sound Bloody Sound”: 14 brani inediti in cui, fra nomi storici dell’underground italiano e altri meno noti, si spazia fra rock alternativo, sperimentazioni elettroniche, canzoni deviate e contaminazioni spigolose. Un mix decisamente variegato pieno di spunti da cui lasciarsi sorprendere.
Roberto Bonfanti[scrittore] www.robertobonfanti.com
Comments