“Ogni conquista non è stata altro
che la base per un nuovo desiderio
e mai sono riuscito a fermarmi.”
“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori:
essi hanno le loro uscite e le loro entrate;
e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti.”
(William Shakespeare)
La storia di una vita vissuta e raccontata al contrario dalla fine, dalla vecchiaia e dalla malattia. Questa potrebbe essere la logline del bel romanzo di Vanna Mazzei e Roberto Bonfanti. Chi segue da tempo questa rubrica ricorderà certo che qui ho presentato e recensito altri due lavori di Roberto: Alice e L’Uomo a Pedali. Chi ci conosce sa che siamo amici e che Roberto mi ha fatto il piacere e l’onore di scrivere la prefazione de Il Sangue di Tommaso. Prefazione tanto bella quanto immeritata. Questo per onestà intellettuale devo dichiararlo. Tuttavia i romanzi di Roberto hanno il grande pregio di essere scritti molto bene, di evocare immagini e suggestioni come difficilmente capita quando si leggono autori contemporanei nella nostra lingua. Per dirlo con una parola Roberto fa e ha sempre fatto letteratura. Sempre per onestà, devo dirvi che di Vanna Mazzei co-autrice di Roberto non so nulla, se non quello che letto di lei sul comunicato stampa che mi è stato fornito e che di solito cerco di evitare per non essere fuorviato nell’elaborare una visione.
Torniamo al romanzo. Il Vecchio racconta come in un dialogo teatrale a uno Spettatore e una Spettatrice la storia della propria vita partendo proprio da quel momento. Un momento in cui l’età e la salute hanno reso il proprio corpo una prigione dalla quale non si può più evadere. In tre atti, il Vecchio tornerà indietro, a rovescio appunto, fino al momento della sua nascita. Il dialogo tra i tre personaggi si dipana tra gli eventi della vita del Vecchio, tra gioie e miserie. In alcuni casi prende la forma di una sorta di flusso di coscienza, in altri momenti della drammaturgia diventa giudizio, bilancio di “una vita come tante”. Una vita senza terrificanti crimini ma piena di umanità ed errori, altezze e bassezze.
I due autori potrebbero essere la Spettatrice e lo Spettatore in teatro. Durante i tre atti, faranno domande e considerazioni a cui il vecchio risponderà a volte puntualmente, a volte blandendoli, a volte correggendoli irritato. D’altra parte, la vita è la sua, non la loro. Loro possono solo seguire la narrazione, assistere alla sua piece. D’altra parte, non è questo il teatro? Un rapporto, un patto tra chi è sul palco e rappresenta la storia e chi in platea ascolta e comunica il proprio plauso o il proprio disappunto. Il palco è un posto tra i più pericolosi al mondo. Su un palco sei esposto, non hai modo di nasconderti.
Ho trovato decisivo ambientare la storia di una vita, raccontata a rovescio (un po’ come ne Il Curioso Caso di Banjamin Button) in un teatro. L’americano Bill Bryson intitola proprio The World As A Stage, il suo saggio su William Shakespeare. Non so se la vita del Vecchio sia come recita il testo “una vita come tante”. Supposto che esista una vita che sia come tante. Questo racconto a ritroso non è come tanti. E’ vivo e suggestivo. Così come sono vivi e tridimensionali i tre personaggi e quelli evocati nel racconto.
Mazzei e Bonfanti si fanno leggere molto bene. Tanto che alla fine ne vorresti ancora. Un romanzo prezioso ed essenziale come un assolo di Brian May. Perché se (sempre da esegeta non autorizzato) la vita del Vecchio è “come tante”, La Prima Ultima Volta non è un libro come tanti.
di Paolo Pelizza
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