
Torna a suonare al Centro Stabile di Cultura dopo tre anni, Fausto Rossi, un artista visionario e dissacrante.
La sua carriera si è sviluppata negli anni ai lati del music business italiano, con una straordinaria coerenza e onestà intellettuale.
Le parole di Fausto sono dei fendenti affilati che centrano sempre il bersaglio e i suoi brani conservano un notevole slancio anticonformista che li rende unici e del tutto attuali.
Lo abbiamo intervistato prima del concerto.
Ecco cosa ci ha detto:
Ciao Fausto, la prima domanda riguarda una mia curiosità. La volta scorsa hai aperto il tuo concerto al CSC con una splendida suite strumentale elettronica, fatta di suoni e rumori, che mi ha fatto pensare alle sperimentazioni di Cage e Stockhausen. Stai sviluppando questo tipo di approccio?
FR: Si, provo interesse per quel tipo di musica ed è sempre stato così. Dopo i primi tre dischi ho pubblicato Now che è di fatto un lavoro di musica concreta, materiale su nastro magnetico, tagliuzzato e montato. Nel 92 ho pubblicato Cambiano le Cose, disco in cui ho usato molto l’elettronica. Prossimamente a Torino farò due nuovi lavori di musica elettronica. Attualmente sto completando le registrazioni del mio album, che dovrebbe uscire dopo l’estate. Si tratta ancora di un disco di canzoni, non so se sarà veramente l’ultimo, ma quello che seguirà poi, saranno alcuni lavori di musica elettronica.
La musica elettronica è ritornata alla grande negli ultimi anni. Escludendo la Techno e altre cose commerciali, c’è anche un tipo di musica che si rifà agli anni 60/70 (Klaus Schulz e Tangerine Dream) fondata sul gusto, senza molta progettualità o concettualizzazione. Per contro in quegli anni c’era anche la musica di accademia fatta da veri compositori. Devo dire che a me piace di più il primo tipo, perché dai laboratori escono dei dischi che non sono altro che un provare a presentare nuovi tipi di sintesi ma senza avere il coraggio e la costanza di portarli avanti del tutto. Gli autori non se la sentivano di andare avanti e ricreare da capo un nuovo alfabeto.
Il problema nella musica elettronica è il linguaggio. Se prendi una persona e la metti ad ascoltare un certo tipo di lavoro, si annoia, in quanto non esiste ancora un linguaggio condiviso. Quando si suona uno strumento invece, che sia a fiato o a corde, tutti ne conoscono i suoni e le melodie sono state ampiamente metabolizzate. In questo modo le persone non si sentono disorientate. Con la musica elettronica invece questo non accade e il più delle volte il tutto si riduce ad un mi piace, oppure un non mi piace.
Mi ricollego al tuo discorso sul linguaggio. Tu hai studiato Etnomusicologia. Questo come ha cambiato il tuo modo di comporre?
FR: il discorso sarebbe molto lungo. A Milano Walter Maioli (compositore, ricercatore, paleorganologo) negli anni 70 aveva fatto una mostra con strumenti antichi costruiti con ossa di animali. La musica è sempre stata una situazione culturale, legata principalmente ad un culto. In nessuna cultura al mondo esiste un culto che non sia accompagnato dalla musica. L’universo viene considerato messo in movimento da un suono. Anche nella Bibbia è scritto all’inizio fu il verbo, verbo inteso come suono. Considera che nell’antichità i popoli parlavano senza sapere usare le vocali, emettendo una specie di mantra musicali simili a grugniti. Siamo arrivati poi al canto gregoriano, il più puro che esista, non ha pretese di mettersi in evidenza e conserva il suo valore culturale. Nel rinascimento invece sono cambiate le cose. Io lo considero l’inizio del decadimento della nostra cultura, in quanto si è iniziato a fare musica d’arte. Nasce l’idea del musicista che può essere grande come Dio e creare della musica. In questo modo si perde il valore che la musica aveva in passato.
Tu sei stato anche un produttore. Attualmente ci sono degli artisti che ti piacerebbe produrre?
FR:Non ho interesse ad ascoltare cose nuove. Di San Remo non so nulla. Se accendo la televisione sento le solite stronzate che ho sempre sentito, niente è cambiato.
La musica è sempre più stupida. Il Rap e l’hip hop per me sono insopportabili. Una ripetizione continua senza alcun valore culturale. Musicisti che non esistono, parlano di cose che non conoscono.
Ho letto in una tua intervista che citavi come tue influenze i Talking Heads, i Joy Division e i Velvet Underground. Dicevi anche che ti interessava molto il contesto sociale in cui questi gruppi erano nati. Il clima di incertezza e disagio che si respira oggi in Italia, potrebbe, secondo te, favorire la nascita di gruppi simili, che trattino magari anche degli argomenti controversi?
FR: Purtroppo le generazioni di giovanissimi stanno prendendo a modello degli idioti totali. Abbiamo un pubblico medio che non ha un grande interesse per la musica. Figurati nel momento in cui prendono esempio da questi disperati che si sono ritrovati a fare musica per caso. Poi ti dicono: “la musica è libera, si fa, si fa”, ma si fa che cosa?, fa qualcos’altro!
Aggiungiamo a questo gli artisti che hanno visto bene di cogliere le occasioni proposte dalla televisione. Non posso vedere un musicista come Manuel Agnelli, che ha rappresentato molto per i giovani, diventare un dipendente di una rete televisiva. Se anche lui, sia chiaro che non ho nulla contro di lui, si mette a fare questo, allora tutto va a rotoli. Che non aprano più bocca con me o con quelli come me.
Non bisogna farsi comprare dal denaro perché i ricchi muoiono prima degli altri (risate)
Penso ad esempio ad Enrico Ruggeri invece che non si è mai messo a fare prediche. Ha sempre fatto il suo mestiere e scrive bene, anche se di mestiere i suoni brani sono molto buoni e lo rispetto. Cito infine il primo Bennato che diceva: “Non mettetemi alle strette, sono solo canzonette”. Loro erano sinceri in quello che facevano, come quando De Gregori si ispirava a Bob Dylan, a chi avrebbe dovuto ispirarsi? a Sfera e Basta? (risate)
Grazie mille Fausto per il tuo tempo.
Intervista a Fausto Rossi (Faust’O)
di Fabio Pigato
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